STEFANO

Questa pagina ospita il racconto che abbiamo ricevuto da Stefano di Genova, in cui le esperienze adolescenziali di un ragazzino, con le sue amicizie e le sue passioni, si sovrappongono alla storia ed ai successi dei ROCKETS.

I passaggi cardine, già noti ad ogni fan dei ROCKETS, evidenziano sensazioni e sentimenti certamente condivisibili che si intrecciano ad aneddoti e curiosità riguardanti i ROCKETS vissuti però in prima persona da Stefano e quindi unici.

Alcune foto, scattate tra il 1982 ed il 1984, arricchiscono la testimonianza.

Rivolgiamo a Stefano un sentito ringraziamento per aver condiviso con noi parte della sua vita.

ROCKETS live a Castelletto D'Orba nel 1982 - Photo by Stefano Fasano - © LesROCKETS.com

ROCKETS live a Castelletto D'Orba nel 1982 - Photo by Stefano Fasano
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ROCKETS live a Genova nel 1984 - Photo by Stefano Fasano - © LesROCKETS.com

ROCKETS live a Genova nel 1984 - Photo by Stefano Fasano
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" . . . Questo testo descrive semplicemente la parte della mia adolescenza e quella dei miei più cari amici alla scoperta della passione per la musica nata grazie al gruppo dei ROCKETS.

I fatti si svolgono tra il 1978 e il 1984 e saltuariamente negli anni a venire fino ad oggi . . .

Mi chiamo Stefano e siamo nel 1978. Ho 13 anni e faccio la normale vita di un ragazzino della mia età, scuola, compiti, uscite in piazzetta sotto casa con gli amici. Eccoli gli amici, pochi ma molto uniti e affiatati; Alberto il bello del gruppo, Fabio già appassionato di sport, Sergio molto pacato ma pronto ad esplodere per fare casino, Marco di origini meridionali con il suo marcato e spesso voluto accento del sud che ci faceva scompisciare dalle risate, Giuliano a cui ero un po' più affezionato per il semplice fatto che eravamo anche compagni di scuola e condividevamo praticamente tutta la giornata, infine Flavio il più anziano del gruppo, all'epoca già maggiorenne, un vero nerd in quanto cervellone e appassionato di elettronica applicata. In seguito sarebbe arrivato anche Sandro che per le varie situazioni della vita è quello a cui oggi sono più legato affettivamente.

Ma torniamo a me; dicevo siamo nel 1978, esattamente l'estate del 1978. Abitando in una città di mare come Genova era un attimo trovarsi sulla spiaggia a prendere il sole e fare il bagno. I miei genitori Salvatore e Ramona la domenica portavano me e mia sorella Miriam di 8 anni a Pegli ai Bagni Italia e li tutti prendevamo un po' di respiro dal tran tran settimanale. Mio padre, Salvatore era un appassionato di musica e a casa nei fine settimana, se non si usciva, lo stereo era sempre acceso con Tozzi, Battisti, Celentano, Mina, Il Guardiano del Faro e anche qualcosa di straniero in voga all'epoca. Io ascoltavo volentieri ma non ero propriamente rapito da quegli artisti, quindi la musica non aveva ancora fatto totalmente breccia nella mia anima. Torniamo ai Bagni Italia, nel bar dello stabilimento balneare c'era l'immancabile jukebox e giravano in continuazione i successi degli artisti citati prima. Però qualcosa di nuovo attirò la mia attenzione. Non era il solito genere musicale che si sentiva in quel periodo, ma qualcosa di strano, i suoni erano diversi e capii in seguito che provenivano da tastiere elettroniche. Queste tastiere producevano effetti che potevano proiettarti con la mente nello spazio siderale, ma la cosa che mi colpì di più era la voce, anzi la 'non voce', perché quel timbro metallico e robotico del cantato non poteva essere umano. E allora cos'era? Mi avvicinai al jukebox per ascoltare meglio ed era veramente qualcosa di nuovo e pazzesco che entrò subito in testa come il nome del gruppo che stava suonando e che era stampato sul 45 giri che roteava nel jukebox. Erano i ROCKETS con On the road again. Nella settimana successiva passai giornate intere ad ascoltare la radio nella speranza di risentire quel gruppo che era diventato un chiodo fisso e, ne ero convinto, sarebbe diventato il mio gruppo preferito . . . e finalmente eccoli, in onda con il dj che li definiva 'gli alieni del rock' e li descriveva con i loro costumi futuristici e le teste rasate, dipinti di argento per sembrare robot. Ma io non capivo perché ancora non avevo avuto modo di vederli. La domenica successiva, stessa spiaggia stesso mare. Per prima cosa mi feci dare qualche monetina da mamma da spendere nel jukebox per ascoltare la mia canzone preferita! Scoprii anche che i ROCKETS avevano appena pubblicato un album con lo stesso titolo del 45 giri. Doveva essere mio ad ogni costo! A casa lo stereo era di papà e lui, gelosissimo, non lo faceva toccare a nessuno, quindi mi dovevo accontentare di un mangiadischi Philips e di un radioregistratore a cassette Hitachi. Dopo svariate richieste ai genitori, riuscii a convincerli di comprarmi la cassetta di On the road again che, una volta entrata nel radioregistratore non ne sarebbe più uscita. La piccola foto di copertina della cassetta non mi soddisfaceva, dovevo vedere come fossero veramente i ROCKETS e in edicola comprai una rivista dove c'era un loro articolo. C'erano tante foto, una più bella dell'altra, finalmente li potevo vedere ed era la cosa più strana e stupenda che avessi mai immaginato! Quell'articolo sancì la mia più estrema fedeltà a quel gruppo che con la musica e il look sapeva trasportarti nello spazio e nel futuro. Le cassette che successivamente mi regalarono furono Rockets e Sound of the future, rispettivamente il primo album ed una raccolta con due inediti.

Decisi di condividere questa mia passione con gli amici sperando che anche loro avessero sentito parlare di questo fantastico gruppo, così scesi in piazzetta armato di radioregistratore e riviste che parlavano dei ROCKETS. 'Ragazzi ascoltate, avete mai sentito questo gruppo?'. On the road again uscì dalle casse della mia enorme radio e per un attimo ci fu silenzio e stupore. Dopo qualche minuto di ascolto feci vedere anche le foto e chiesi loro 'Che ne pensate?'. Giuliano era un po' disinteressato, d'altronde lui ascoltava rock e aveva da poco scoperto i Kiss, mentre gli altri rimasero affascinati da quella musica e Flavio disse che li conosceva già, li aveva visti in TV e gli piacevano un sacco. Nei giorni a seguire le cassette si stavano consumando nel registratore e poco a poco i ROCKETS entrarono nei cuori dei miei amici. Flavio, che come ho detto prima era il cervellone del gruppo e amante dell'elettronica, si era pian piano autocostruito gran parte dell'impianto stereo che aveva a casa, un amplificatore, un equalizzatore, un sintonizzatore e casse; dovette comprare solo piatto e piastra a cassette. Ma il massimo lo raggiunse quando si costruì l'autoradio che alloggiava vicino al cruscotto della sua mitica Fiat 126 rossa. Il fatto che anche l'autoradio l'avesse costruita lui, consentiva la possibilità di connettere due casse esterne per potere ascoltare la musica anche fuori dall'auto. Quando ci annunciò questa novità, ci diede anche appuntamento in piazzetta. Arrivò con la 126, posteggiò al centro della piazza e uscì dall'auto srotolando svariati metri del classico cavo rosso e nero, un po' da un lato della macchia e un po' dall'altro. Infine tirò fuori due casse acustiche sempre costruite da lui, formate da woofer, midrange e tweeter, il massimo per ascoltare la musica in alta fedeltà! Collegò quindi le casse all'impianto dell'auto e, dopo averle sistemate al meglio, tra una e l'altra (con in mezzo la macchina) ci saranno stati circa 10 o 12 metri, ottima distanza per godere appieno dell'effetto stereo. Accese quindi l'autoradio e le note di Venus rapsody inondarono la piazzetta, facendo rimbalzare i suoni spaziali di cui erano abbondantemente farcite le canzoni dei ROCKETS a destra e a sinistra. Sembrava quasi di essere ad un concerto . . . Ma l'estasi durò giusto il tempo di due canzoni, fino a quando le finestre dei palazzi intorno a noi si spalancarono e l'ira dei vicini si manifestò vivacemente nei confronti della musica troppo alta. Proprio non capivano la bellezza di quello che stavano ascoltando.

C'era una trasmissione strana sulla Rai che si chiamava Stryx e aveva tra i vari ospiti anche i nostri cinque alieni. Chiesi ai miei genitori di guardare quel programma, ma non interessava a nessuno e allora per poterlo vedere mi chiusi in cucina con la piccola tv in bianco e nero poggiata sul frigo, sorbendomi tutta la puntata e aspettando con ansia la comparsa gli alieni. Il programma come ho detto era strano, ma anche innovativo per il periodo e i ROCKETS erano proprio nel posto giusto. Tra l'altro non mancava una discreta parata di tette al vento che non guastava proprio. Ad un certo punto eccoli finalmente, annunciati come i 'Cosmodiavoli', con i loro costumi, l'argento, le stranissime chitarre e le movenze a scatti che li facevano sembrare veramente robot o esseri venuti da chissà dove. Dei cinque ROCKETS quello che mi affascinava di più era Alain Maratrat il chitarrista, magro e altissimo sembrava veramente un alieno. Di tutti gli strumenti musicali che conoscevo, la chitarra era la mia preferita, non ne possedevo una e non la sapevo suonare, ma mi intrigava il fatto che con il supporto di pedali connessi allo strumento si potessero creare suoni differenti e particolari a seconda del brano. Maratrat in quel programma usava una chitarra a forma di stella e ne desiderai tanto una. Con la compagnia si discuteva dei silver, delle loro apparizioni televisive e del fatto che, come era già successo a me, anche agli altri cominciava a venire voglia di suonare. Ad Alberto piaceva l'espressione da duro che aveva sempre Fabrice Quagliotti, il tastierista, e i sintetizzatori divennero il suo sogno. Sergio invece amava la grinta di Alain Groetzinger il batterista e si mise a studiare batteria. Marco a casa aveva già la chitarra che era di suo padre, ma anche lui voleva schiacciare qualche tasto bianco e nero.

Uscì poi l'album Plasteroïd e fu un delirio per le nostre orecchie. Le canzoni erano ancora più belle degli altri lavori e i 5 musicisti grazie alla loro bravura e all'uso di nuova tecnologia diedero vita ad un album strepitoso! La copertina li proiettava ancora di più in quella dimensione spazio/alieno che li stava contraddistinguendo, ritraendoli a vagare nell'universo prigionieri del ghiaccio siderale. Il singolo lanciato fu Electric delight, grande pezzo pop rock con tanta chitarra, tanti synth, tanto vocoder, insomma tanto ROCKETS. Il noto presentatore Gianni Boncompagni li volle a Discoring, trasmissione esclusivamente musicale con molti ospiti famosi. L'esibizione se pur in playback fu pazzesca: esplosioni, laser, bazooka scintillanti e i nuovi costumi molto più spaziali degli altri, li consacravano nell'olimpo musicale di un genere ed un look che nessuno aveva mai azzardato, raggiungendo un incredibile successo. Intanto la mia voglia di chitarra cresceva sempre più e per sopperire alla sua mancanza disegnai su di un cartone la sagoma del corpo e della paletta della Gibson Explorer di Alain uniti tra loro da un lungo righello di scuola che fungeva da manico; imitare Alain nelle sue movenze da chitarrista robotico era ora più facile . . . anche perché finalmente potevo ascoltare i dischi con il mio stereo con piatto e piastra. Ogni novità del gruppo era apprezzata nella cerchia degli amici e la passione verso i ROCKETS cresceva sempre di più: i dischi, le riviste con gli articoli e le foto, i poster e i passaggi televisivi non ci bastavano più, volevamo vederli in concerto.
Nel 1979 le radio passavano molto spesso i successi dei ROCKETS, ma per uno di noi questo comunque non bastava. A Flavio venne quindi la brillante idea di costruirsi per casa un trasmettitore radio ed i relativi ricevitori da distribuire agli amici; dopo le dieci di sera i ricevitori venivano accesi per ascoltare, comodamente dalle nostre camere, le sue trasmissioni a base di ROCKETS. Da notare che la nostra compagnia era distribuita in tre vie: Giuliano in via Caveri, io, Alberto, Fabio e Sergio in via Marabotto, Flavio e Marco in via dei Landi. Queste tre vie erano adiacenti l'una all'altra e la radio di Flavio copriva tutta l'area tra loro. In seguito poi, l'ottimo Flavio costruì anche un mini pannello a celle solari per alimentare il radioregistratore che portavamo alla spiaggia per sentire le nostre canzoni preferite a costo zero, un vero genio. Più avanti mi venne regalata la prima chitarra acustica sulla quale senza nessuna scuola, se non un corso di base a fascicoli, cominciai a strimpellare. Nell'estate di quell'anno i ROCKETS vennero in concerto al Palasport ma purtroppo i miei genitori e quelli di alcuni amici negarono la possibilità di andare a vederli per i problemi di sicurezza pubblica e la solita paura che hanno i genitori in queste situazioni. Peccato, sarebbe stata una bella esperienza, ma se ne sarebbe parlato al successivo tour.

Il 1980 fu per noi l'anno più soddisfacente sul piano ROCKETS, anche se parte della compagnia per motivi caratteriali cominciava a non avere più interesse verso la band; pian piano Fabio Sergio e Giuliano, ormai metallaro a tutti gli effetti, si allontanarono dal fenomeno ROCKETS. In compenso nella 'cumpa' era appena entrato Sandro al quale fu subito fatta la fatidica domanda se apprezzasse i ROCKETS . . . 'Ho tutti i dischi' fu la risposta e fummo immediatamente felici di avere reclutato un altro fedele seguace. Ora con l'arrivo di Sandro, dei sette iniziali accaniti fan, eravamo rimasti in cinque, proprio come i ROCKETS. Nei primi mesi dell'anno uscì l'album 'Live' e fu una sorpresa per noi sentire che dal vivo i silver suonavano molto più rock rispetto alle produzioni in studio. Questo fatto per me fu ancora più eccitante dal punto di vista musicale perché nel vasto mondo delle sette note non esistevano solo i 'pelati' come li chiamava mio padre e grazie al buon Giuliano anche io mi ero avvicinato al mondo rock e metal al punto che era diventato il mio genere musicale preferito. Sull'album Live c'erano oltre ai brani di successo pubblicati fino ad allora, l'assolo di Alain Maratrat, vera perla che confermava l'anima rock del chitarrista da me osannato, quello di Alain Groetzinger che suonava il suo assolo sulle note de La Messa di Requiem di G. Verdi, a conferma di come in quel periodo fosse considerato dalla critica musicale uno dei dieci batteristi migliori in circolazione ed il brano strumentale inedito Prologue che apriva il lato b dell'album, un groove funk rock veramente accattivante dove la melodia portante era segnata dall'ottimo giro di basso di Little G. L'Her, una vera scoperta. Dopo poco tempo i cinque stupirono tutti pubblicando anche il loro nuovo album da studio che combaciò con l'apice della loro carriera. L'album era il fantastico Galaxy. Già la copertina era un capolavoro, un disegno dell'artista polacco Wojtek Siudmak che rappresentava il viso di un'entità superiore nello spazio intento a tamburellare con le dita la nostra terra. Siudmak fornì in seguito altre due copertine per i ROCKETS, per gli album π 3,14 e Atomic. Galaxy, da un punto di vista musicale, racchiudeva in se tutto quello che i silver avevano espresso dal primo album fino a quel momento. C'erano le atmosfere spaziali, il rock, i brani strumentali di Maratrat e Quagliotti, il vocoder e tutto questo amalgamato in una serie di otto brani epocali uniti da un unico filo conduttore. Si perché la vera novità era che il disco era un concept album ovvero le canzoni seguivano una storia, una trama unica. Fummo tutti entusiasti del disco e un giorno Sandro arrivò con una rivista appena uscita dove c'erano le foto del nuovo tour che i ROCKETS avevano appena iniziato in Italia.
Anche questa volta i ROCKETS avevano sconvolto le aspettative dei fans e della critica musicale. Il nuovo tour presentava una novità rispetto a quello a cui ci avevano abituato in passato (ma che purtroppo non avevamo ancora potuto vedere con i nostri occhi dal vivo); c'erano si sempre i laser, il fumo, le esplosioni ma questa volta sul palco c'erano addirittura 4 astronavi! Le due più grandi posizionate dietro e leggermente sollevate dalla base del palco, avevano veramente la forma di ufo con tanto di cupole e luci roteanti; una conteneva le tastiere con Fabrice Quagliotti e l'altra la batteria con Alain Groetzinger; ai lati estremi di queste, appoggiate alla base del palco, altre due più piccole a forma di uovo da dove sarebbero usciti Alain Maratrat e Little G. L'Her. A centro palco tra le due astronavi più grandi si ergeva una gigante testa argentata che al posto degli occhi aveva due luci rosse. Dopo aver visto quelle foto, solo un concerto avrebbe potuto saziare la nostra fame di ROCKETS. A pochi giorni dall'uscita di Galaxy, Genova venne tappezzata da manifesti che ritraevano i nostri cinque con la didascalia 'Genova 17 Maggio Palasport della Fiera, ROCKETS in concerto. Inizio ore 21.30'. Il sogno della nostra adolescenza si stava realizzando. Ma c'era ancora un ostacolo da superare almeno per me: avevo 15 anni e i miei genitori mi avrebbero dato il permesso per andare al concerto? Purtroppo in quegli anni le BR, le manifestazioni, i tafferugli la facevano da padrone e i concerti spesso erano meta di delinquenti che andavano solo per creare disordine trasformando così uno spettacolo che doveva divertire, in qualcosa di pericoloso per chi voleva partecipare in maniera normale e pacifica. Le trattative con i miei cominciarono con un secco: 'No!' seguito da 'Sai benissimo che potrebbero mettere una bomba, è troppo pericoloso'. Come dargli torto, purtroppo i fatti portavano a pensare così ma io non accettavo il fatto che dopo avere aspettato per tanto tempo questo evento, per me indispensabile, non avrei potuto esserci per colpa della paura (anche se giustificata) di mamma e papà. Alberto, Sandro, Marco e Flavio a differenza di me avevano avuto l'ok dai genitori, non senza ansia da parte loro, ma avevano raggiunto l'obiettivo. Mi rimaneva solo una carta da giocare, Flavio. Infatti come dicevo all'inizio, le nostre famiglie si conoscevano tutte, in modo più o meno approfondito, anche se i miei avevano più confidenza con quella di Flavio. I suoi genitori avevano un banco al mercato rionale e papà e mamma andavano spesso a comprare da loro. Flavio poi era il più grande di noi, aveva 22 anni e poteva essere il mio 'biglietto' per il concerto. Ricordo che venne a casa nostra un pomeriggio e cercò di rassicurare mamma e papà sul fatto che non fosse così pericoloso come credevano: 'Ho già assistito a qualche concerto e ci sono sempre i Carabinieri a vigilare . . . se qualcuno si sente male c'è sempre almeno un'ambulanza . . . poi se fate venire Ste, vediamo di metterci in un punto tranquillo per sicurezza . . . vengono anche tutti gli altri e sarebbe un peccato se Ste non venisse'. Le parole rassicuranti di Flavio (aveva veramente un modo gentile di rivolgersi alle persone, insomma si faceva voler bene) convinsero i miei genitori a lasciarmi andare e dopo pochi giorni avevo il biglietto in mano. Era fatta!

I manifesti dicevano 'inizio concerto ore 21.30', ma, pensando alla marea di persone che i ROCKETS radunavano ai concerti, alle 15.00 eravamo già spiaccicati contro i cancelli del palasport per avere la certezza di entrare tra i primi e poterci piazzare alle transenne sotto il palco. Altro che punto tranquillo, le ore non passavano mai e periodicamente qualcuno cominciava ad urlare 'aprite, aprite' e in breve il coro si estendeva a tutte le migliaia di persone in attesa diventando un urlo assordante. Si fantasticava sui pezzi che avrebbero suonato, sul 'Solo' di Groetzinger. Io speravo di posizionarmi sotto la postazione di Maratrat ma intanto eravamo ancora là fuori e l'ansia di correre davanti a tutti era alta anche perché ovviamente quello era lo scopo comune di ognuno e quindi sarebbe stata una vera guerra. All'apertura noi cinque scattammo come fulmini e la posizione privilegiata che avevamo guadagnato arrivando con ben 6 ore di anticipo servì allo scopo. Dopo aver strappato il tagliando del biglietto eccoci dentro il Palasport. Il palco si stagliava a circa 40-50 metri da noi e dovevamo ancora guadagnarci la transenna. Mentre correvamo a perdifiato per arrivare là davanti mi godevo l'immagine del palco con le quattro astronavi, la testa argentata e il fumo che già cominciava a coprire la base del palco e in men che non si dica eravamo attaccati alla transenna. Davanti a noi non c'era nessuno, solo il palco. Eravamo davanti alle postazioni di Maratrat e Quagliotti, ci guardammo sorridenti gridando 'Ce l'abbiamo fatta'. Era il mio primo concerto in assoluto e l'eccitazione e la gioia si davano il cambio con un po' di ansia che ovviamente sentivo non vedendo dietro di me dove finiva la marea di gente, ma il notevole spiegamento di forze dell'ordine mi tranquillizzava. L'imponente impianto acustico trasmetteva successi di quel periodo per colmare il tempo che sarebbe passato prima dell'inizio del concerto, ma i soliti cori inneggianti ai ROCKETS e i fischi arrivavano in certi momenti a coprire la musica in sottofondo. Eravamo tutti seduti a terra con la schiena appoggiata alle transenne sfruttando l'attesa per riposarci dall'estenuante attesa fuori dai cancelli. Ad un certo punto le luci si spensero, ci alzammo di scatto girandoci verso il palco. Il buio era quasi totale, solo qualche lucina proveniente dalla strumentazione illuminava fiocamente alcune zone del palco e in quel momento l'intero Palasport esplose a gran voce gridando 'ROCKETS . . . ROCKETS. . . '. Poi un rombo assordante accompagnato da suoni che sembravano provenire dallo spazio, coprì le nostre grida inneggianti ai cinque e le astronavi cominciarono ad emettere luci roteanti di tutti i colori. Poco dopo il rumore dei motori delle astronavi lasciò il posto alla batteria di Alain e alle tastiere di Quagliotti che cominciarono a suonare l'intro di One more mission mentre le cupole delle loro astronavi si aprivano lentamente lasciando intravedere i nostri due alle prese con gli strumenti. Anche le due uova cominciarono ad aprirsi e in qualche secondo sia L'Her che Maratrat erano sul palco e Maratrat era proprio davanti a me in tutto il suo carisma alieno. Poi L'Her cominciò a cantare One more mission in un tripudio di luci, fumo e laser. Il sogno si era avverato, eravamo nel mezzo di un meraviglioso film di fantascienza. Christian arrivò alla terza canzone e venne osannato dalla folla essendo il frontman nonché l'immagine del gruppo. Il concerto filava liscio con tutti i grandi successi riproposti qui in chiave più rock come speravo e con arrangiamenti a volte diversi come ad esempio la lunga intro di In the galaxy veramente di notevole impatto scenico e musicale. Poi la stupenda Future woman con il lunghissimo assolo di Maratrat dove usava il talk box, effetto collegato a chitarra e microfono che faceva letteralmente 'parlare' la chitarra. Quando verso la fine Christian annunciò Galactica, la hit del momento, fu il delirio. A metà canzone poi, lo stallo voluto per incitare noi pubblico a cantare. Qui il corpulento Le Bartz cominciò ad incitarci con il suo italiano stentato urlando 'Hei gente . . . qui si sente niente . . . hei gente io volio sapere se voi siete venuti per dormire!!! . . . se voi siete venuti per dormire è melio di restare a casa . . . Genòva canta piu forte...Galactica!!!'. Fantastico, ci sentivamo ancora più partecipi di questo meraviglioso evento che purtroppo a breve sarebbe finito. Quando le luci nel palasport si riaccesero eravamo intontiti dal volume alto del concerto appena finito, dal fumo della scenografia e non solo di quella. Ci guardammo tutti e cinque increduli per la stupenda esperienza appena vissuta e un po' tristi sapendo che per poterli rivedere qua a casa nostra sarebbe dovuto uscire un album nuovo. La posizione di privilegio che ci eravamo guadagnati all'entrata ora mostrava il lato opposto della situazione e per uscire dal palasport per noi ci volle un po' di tempo per far defluire la folla alle spalle. Così ne approfittai a luci accese per guardare bene la strumentazione. Poi uscimmo e aspettammo nella speranza di vedere se i nostri cinque sarebbero venuti a firmare autografi ma ovviamente gli ultimi ad entrare furono i primi a piazzarsi nel punto dove i ROCKETS sarebbero usciti e comunque io volevo tornare a casa per non far stare in pensiero ulteriormente i miei genitori. Vabbè, sarebbe stato per la prossima volta. Il ritorno in autobus fu accompagnato da canti e slogan per i ROCKETS. Andai a dormire stanco ma ancora elettrizzato per la stupenda esperienza, senza voce per avere gridato tutta la sera e con un fischio continuo nelle orecchie che sarebbe passato solo il giorno dopo. Nei giorni a seguire le discussioni riguardanti il concerto erano al primo posto e ci venne in mente una cosa: dovevamo trovare un manifesto in città ancora in buone condizioni da staccare per tenerlo come ricordo. Girammo un po' in zona e di manifesti ce ne erano molti, ma non sembravano messi molto bene. Trovato quello giusto poco distante da casa nostra decidemmo di tornare la sera dopo cena per non dare troppo nell'occhio. Cominciammo a staccare il manifesto con delicatezza, fermandoci ogni volta che passava qualcuno; per fortuna eravamo in una zona non molto frequentata, ma a metà dell'opera il manifesto si strappò e quindi rinunciammo all'impresa.
Nel frattempo le nostre vite proseguivano normalmente con i nostri impegni scolastici e ovviamente come ho scritto nell'introduzione questa è solo la parte della nostra adolescenza che riguarda i ROCKETS e che occupava un terzo del tempo libero che avevamo a disposizione. In attesa di nuove notizie sui silver five, consumavamo i nostri stereo mandando a rotazione tutti gli Lp, Mix, 45 giri dei nostri eroi provocando a volte l'ira dei genitori; mia mamma mi ripeteva 'abbassa la musica che poi i vicini brontolano', oppure papà che mi ripeteva 'ma possibile che non sai ascoltare altro che quei pelati?', si, mio papà sovente mi diceva così, ma un giorno trovai tra la sua discografia personale le cassette di Plasteroïd e Galaxy, comprate a mia insaputa e quando glielo feci notare mi disse imbarazzato 'beh, sai, in fondo non sono così male'. Le riviste con i loro articoli si sprecavano e ormai la parte del mio mobile letto (dividevo la camera con mia sorella ma era una stanza piuttosto spaziosa e ci stavamo comodi tutti e due) era tappezzata dai ritagli che parlavano dei ROCKETS e sul muro di fronte al mio letto erano appesi i loro poster.

Verso la fine del 1981 venne annunciato il nuovo Lp π 3,14 e prima dell'uscita cominciarono a circolare le nuove foto che pubblicizzavano appunto il nuovo disco. Fu di nuovo stupore ma questa volta in negativo perché le foto che giravano non avevano niente a che fare con il passato del gruppo, a parte le teste rasate e l'argento, nelle foto si presentavano con giubbotti di pelle su potenti Harley Davidson oppure vestiti da cow boys o ancora da chirurghi in sala operatoria, ma che stava succedendo? Non avendo avuto ancora la possibilità di ascoltare qualcosa di nuovo pensammo che il cambio di look avrebbe riguardato anche la loro musica e quindi addio Space Rock e addio a qualsiasi riferimento stellare e fantascientifico. Poi uscì Radiate, il primo singolo e i dubbi svanirono. Musicalmente erano sempre loro e finalmente erano tornati! L'album uscì da li a poco e fu un'altra sorpresa perché la musica era sempre la loro, ma forse anche esageratamente 'aliena'; i suoni erano troppo sintetici e metallici, la potente batteria di Alain era stata sostituita da una nuova batteria elettronica con dei pad di plastica neri ed esagonali dal suono innaturale e orrendo e i brani stessi adesso erano molto più vicini al genere dei Kraftwerk, altro gruppo che amavo, ma che non aveva niente a che fare con il mondo ROCKETS essendo i Kraftwerk un gruppo di musica elettronica minimale. Comunque erano sempre loro e questo ci bastava per ora. C'era un'altra novità nel disco ed era Chantal Ricci, una ragazza che nell'altro singolo Ideomatic, cantava in francese alcune strofe. Fecero un altro passaggio televisivo a Discoring e l'esibizione li vedeva vestiti da chirurghi nell'intento di operare la povera Chantal. E allora dal vivo come si sarebbero presentati?
A Marzo del 1982 i loro manifesti ricoprivano i muri in città e questa volta il lasciapassare di mamma e papà fu automatico, così biglietto in mano i soliti cinque si avvicinavano al solito Palasport al solito orario, 6 ore prima del concerto. Eravamo nuovamente tra i primi, ma questa volta, zainetti in spalla, avevamo panini e bibite per resistere all'estenuante attesa. Poi nuovamente la scena come per il Galaxy tour, all'apertura scatto felino e corsa verso l'entrata del palasport. Una volta dentro però mentre ci avvicinavamo al palco vedemmo che anche li c'era stato un cambiamento; le astronavi erano sparite e il palco era su due piani. Alla base c'erano la strumentazione di Maratrat a sinistra e di L'Her a destra con al centro il microfono di Le Bartz e dietro sul piano rialzato le molte tastiere di Quagliotti a sinistra e la 'terribile' batteria elettronica Simmons di Alain. Al centro dei due un altro microfono che Le Bartz avrebbe usato quando andava a cantare sul piano rialzato. Dopo la solita attesa ecco spegnersi le luci con la folla che urlava ROCKETS all'unisono. Ziga Ziga 999 fu il brano d'apertura e il timore di vedere i nostri idoli vestiti da cow boys o da chirurghi finalmente svanì. Quattro di loro avevano un costume nero, una sorta di tuta lucida nera con al centro del petto un cuore a led che pulsava di luce rossa, mentre Le Bartz aveva il vecchio costume usato nel Galaxy tour. A metà spettacolo dopo una breve pausa avrebbero indossato tutti e cinque sopra la tuta nera, una specie di giubbottone rosso con le spalle imbottite che li faceva assomigliare vagamente a dei rugbisti senza casco, però l'impatto visivo non era male. C'era stato anche un cambiamento negli strumenti a corda, infatti i due non usavano più gli strumenti ordinari adottati fino all'anno prima, ma avevano due strumenti dalla forma inconsueta. Ma quello che non accettavo era l'orribile batteria di Alain. Non potevo credere che un batterista così energico e potente potesse ridursi a picchiare le sue bacchette su dei pads di plastica con dei suoni sintetici e finti. Poi però vidi che parte della batteria era ancora quella acustica, il rullante, i piatti, insomma almeno dal vivo il buon Alain avrebbe cercato di mantenere un suono più umano. Al centro del palco, nella parte bassa c'era anche una sorta di tunnel da dove entrava e usciva Le Bartz e da quello stesso tunnel all'inizio di Ideomatic uscì Chantal con una tutina molto aderente stile Dee Dee Jackson (alter ego al femminile dei ROCKETS) con un casco in testa che si sarebbe tolta da li a poco, intonando la strofa iniziale del brano. Nonostante i molti cambiamenti avvenuti, il concerto fu un successo e loro sempre professionali e bravissimi.
Durante il concerto Alain Maratrat si muoveva sulla destra e sulla sinistra ma senza mai allontanarsi dalla sua posizione. Ad un certo punto una tavola del palco che in quel momento stava calpestando ha ceduto spezzandosi sotto il suo peso e facendolo capitolare a terra. La caduta ha fatto da leva sulla tavola di legno stessa che, con un effetto a catapulta, gli ha scaraventato addosso un piccolo faro dell'impianto luci che era posizionato accanto a lui. Alain con molta calma ma visibilmente arrabbiato si è immediatamente rialzato, ha controllato la chitarra, e guardandosi intorno ha scalciato con stizza il faro, riprendendo subito a suonare. Il tutto è successo in una manciata di secondi. Dopo qualche minuto due persone dello staff avevano già inchiodato la tavola e riposizionato il faro come se non fosse successo nulla. Il bello di tutta la scena è che gli altri quattro musicisti hanno continuato a suonare impassibili.
Il palasport veniva usato anche per altre manifestazioni ed avendo assistito ad alcune di queste, anche con la struttura illuminata e non al buio come ad un concerto, avevamo imparato a conoscerne bene ogni anfratto. A fine concerto sfruttammo questo vantaggio e invece di aspettare il defluire della folla dietro di noi abbiamo percorso il lato del palco fin dietro le gradinate e corso poi lungo la circonferenza dello stabile arrivando all'uscita con molto tempo di anticipo. Una volta fuori, Flavio suggerì 'Proviamo ad andare dietro il palasport, magari escono da li, così li becchiamo!'. Cercando di non farci scorgere dal servizio d'ordine e complice il buio, abbiamo raggiunto la zona dietro il palco in prossimità dei camerini. Purtroppo non c'era nessuna porta, ma una fila di finestre illuminate ad altezza d'uomo. I vetri erano opacizzati ed Alberto vide più avanti una di queste finestre leggermente aperta; ci avvicinammo e senza fare rumore la aprimmo praticamente tutta. La scena che si presentò ai nostri occhi fu a dir poco divertente e imbarazzante. Avevamo trovato una delle finestre del locale docce e li dentro leggermente più in basso di noi (il pavimento interno era ribassato di almeno due metri rispetto all'esterno) c'erano Gerard L'Her e Fabrice Quagliotti in accappatoio probabilmente appena usciti dalla doccia. Cominciammo a chiamarli ad alta voce e loro si girarono di scatto guardando in alto verso la nostra finestra con evidente stupore 'Ciao . . . siete grandi! Forza ROCKETS! Grande Fabrice!'. Quando si resero conto che eravamo un piccolo gruppetto di fan, ci salutarono sorridendo contenti per la divertente situazione. Poi da una porta accanto a loro che doveva essere proprio quella delle docce ecco spuntare la testa di Maratrat che si rivolge verso di noi e ci saluta con la mano facendo il pollice alzato. Uno di noi, non ricordo chi, gridò 'Un autografo, un autografo!' ma Gerard con un sorriso di rassegnazione indicò il suo corpo con le mani, nell'intento di farci capire 'scusate ma siamo in accappatoio'. Ci rendemmo così conto, nonostante l'euforia, che stavamo invadendo la loro privacy e ce ne andammo salutandoli a gran voce. Li vedemmo ancora per un attimo e ci sembrarono divertiti per il siparietto. Tornammo a casa strafelici.

Nel Giugno dell'82 terminai gli studi e dopo un mese, grazie al mio vicino di casa cominciai a lavorare. Essendo occupato fino alle 6 di sera, vedevo i miei amici solo dopo cena, ma la passione per i ROCKETS non mollava. In autunno sui giornali specializzati cominciavano a trapelare notizie sull'imminente uscita di un nuovo album, notizie confermate dalle radio, una delle quali diceva che avrebbe trasmesso il nuovo singolo Future game nel programma serale delle 21.00. Tra noi si sparse subito la notizia 'ragazzi, domani sera alle 9 trasmettono Future game, ci vediamo in piazzetta dopo cena . . . dite a Flavio di portare la radio!'. Alle 20.45 eravamo in piazza, mancava solo Flavio che da li a poco sarebbe arrivato con la sua fida 126 e cosa importante, l'autoradio. In cinque su una 126 si sta stretti o meglio, chi sta dietro sta stretto, ma volevamo sentire la nuova canzone insieme per capire se di nuovo era cambiato qualcosa. Lo speaker annunciò Future game e il brano si diffuse dentro la macchina. I ROCKETS erano tornati e la canzone anche se forse un po' troppo orecchiabile e commerciale era degna del loro nome. Da li a poco uscì l'album Atomic. In linea di massima era un buon disco con molte potenziali hit e il loro sound caratteristico, ma si percepiva comunque un ché di già sentito, ma erano sempre i ROCKETS no? La copertina interna dell'album era piena di foto che li ritraeva con i nuovi costumi che finalmente avevano nuovamente un look spaziale. Però c'era sempre quella maledetta batteria Simmons che proprio non sopportavo!
Purtroppo del concerto che anticipò l'uscita del nuovo album non ho molti ricordi, si svolse in una discoteca fuori Genova, nel basso Piemonte forse nei pressi di Ovada. Ovviamente vista la differenza di location, dal palasport alla discoteca, l'impianto scenico era ridotto al minimo, palco essenziale con luci, fumo e laser ma niente di più. Comunque fu un ottimo concerto, intenso e sempre nel loro stile, ma come dicevo a proposito della location, la discoteca non la vedevo proprio adatta ad un concerto del genere e anche se eravamo come al solito in prima fila, la pressione della gente dietro di noi si sentiva molto di più che nel palasport. Alla fine del concerto, questa volta partimmo subito per rientrare a casa, eravamo stanchi e per nostra fortuna Flavio si era da poco comprato una Fiat 131 e il viaggio fu molto comodo.

L'ultimo concerto dei ROCKETS lo avremmo visto solo due anni dopo e nel frattempo quasi tutti avevamo un lavoro. Questo ci permise di toglierci qualche soddisfazione a livello strumenti musicali. Alberto si comprò una tastiera elettronica, io una chitarra elettrica Eko, il synth Korg Poly 800 e una piccola drum machine della Boss, Marco una mega tastiera, la drum machine Linn Drum e un bel mixer, Sandro anche lui la chitarra elettrica. Io avevo ormai imparato a strimpellare in maniera accettabile e con un piccolo mixer facevo le mie registrazioni casarecce, poi una volta a settimana si andava da Marco e con la sua attrezzatura doc e la mia chitarra cercavamo di fare qualche pezzo dei ROCKETS. Negli anni a venire, la passione per la musica suonata aumentò e anche se da autodidatta, arrivai ad ottenere una certa padronanza con la chitarra e il basso ed una sufficiente manualità con la tastiera. Oggi grazie ai software per produrre musica sul pc, compongo pezzi miei e ovviamente cover dei ROCKETS.
Nel Febbraio del 1984 uscì Imperception, l'ultimo album che, anche se per se poco, rappresentava ancora i ROCKETS per come li avevamo conosciuti. Avevamo letto di un cambio di formazione, Christian Le Bartz aveva lasciato il gruppo e la band ora era di 4 elementi; il suo posto era stato occupato da Sal Solo, cantante inglese degli allora famosi Classix Nouveaux. Ok ma se Sal Solo aveva preso il posto di Christian, perché la formazione era di 4 elementi? Il singolo Under the sun rientrava abbastanza nel cliché ROCKETS e questo frenò i nostri dubbi su un totale cambio di direzione musicale. Il video del singolo venne usato come sigla finale del festival di Sanremo di quell'anno e finalmente potemmo vedere con i nostri occhi l'inizio della trasformazione e la sistematica fine dell'era silver. Infatti i ROCKETS nel video si presentavano sempre rasati, ma la crema argentata lasciava il posto ad un leggero trucco fashion. I costumi fantascientifici erano spariti e la band indossava dei pantaloni grigi, maglietta bianca con un numero (da 1 a 4) differente per ciascun componente e sopra la maglietta un gilet giallo. Poi nel video capimmo perché nonostante il cambio di cantante la band fosse di 4 elementi: anche Alain Groetzinger aveva lasciato il gruppo. Della sua uscita però non venne mai data una spiegazione ufficiale, non c'era più e basta. Non se ne parlava, quasi come se non avesse mai fatto parte del gruppo. Per me quello fu un duro colpo perché Maratrat e Groetzinger li consideravo le colonne portanti del gruppo. Di Le Bartz mi dispiacque, però non mi era mai stato particolarmente simpatico, ma Groetzinger no, lui non avrebbe dovuto lasciare i ROCKETS.
Ci ritrovammo in seguito a casa di Marco per ascoltare tutto il disco e quella fu la conferma che il cambiamento era in atto e niente sarebbe stato più come prima. Delle 8 canzoni di Imperception solo 4 riportavano al sound ROCKETS, le altre 4 tendevano ad un pop elettronico che si avvicinava molto alla new wave inglese che in quel periodo spopolava. Sia chiaro i brani erano tutti buoni, ma dopo 6 anni era dura digerire una svolta simile. C'era da dire che noi fan più accaniti e della prima ora eravamo troppo di parte verso il fenomeno ROCKETS, ma la verità era che nel vasto e cangiante business della musica, il genere proposto dai nostri non otteneva più molto consenso ed interesse e qualche cambiamento andava fatto per restare al passo con i tempi. Ad Aprile di quell'anno vedemmo l'ultimo concerto dei ROCKETS, sempre nel nostro caro vecchio palasport, ma anche in quell'occasione le cose erano cambiate. Le migliaia di persone che negli anni passati gremivano il palasport per vedere quel fantastico spettacolo di fantascienza musicale si erano ridotte a poche centinaia e molti (non certo noi) in quell'occasione protestarono per quel cambiamento di rotta. Il concerto non fu male, oltre ai nuovi brani vennero suonati anche i vecchi successi e qualche brano dei Classix Nouveaux di Sal Solo. Alla batteria c'era un turnista di cui non ricordo il nome e al basso Rosaire Riccobono già bassista dei VISITORS, altro gruppo 'fratello' dei ROCKETS. Imperception non fu un fallimento totale, ma viene considerato ancora oggi come il ponte tra il vecchio e il nuovo corso della band francese. Ci vollero altri due anni per un nuovo album e quell'album decretò la fine dei ROCKETS per come li avevamo conosciuti.
A parte Flavio che era il veterano del gruppo, il più anziano a scalare ero io e fui il primo a partire per il servizio militare. Dopo il car a Como e un mese a Padova, passai la naja in un campeggio militare a Jesolo dove io e i miei compagni commilitoni, non passavamo le giornate in inutili addestramenti militari, ma svolgevamo veri e propri lavori, ognuno con le sue mansioni. A me forse era capitato l'incarico più bello, di giorno prendevo le prenotazioni per il ristorante e di sera facevo il dj. Nello spazioso gabbiotto dove svolgevo le mie mansioni quotidiane il maresciallo aveva fatto installare un impianto stereo di tutto rispetto e oltre a mettere i successi del periodo, mi ero portato da casa l'immancabile cassettina con una raccolta fatta da me dei ROCKETS e ogni tanto la mandavo in onda per mia sola ed unica soddisfazione personale. Il militare per me, se così lo vogliamo chiamare, è stata una bellissima esperienza e a gennaio dell'86 tornai a casa per riprendere la vita di tutti i giorni. I tempi cambiano, come le abitudini e anche tra noi amici le cose cambiarono. Il lavoro per fortuna lo avevamo tutti, arrivarono anche le fidanzate e alla fine ci si vedeva nei fine settimana. Senza mai dimenticare i ROCKETS anche i nostri gusti musicali si ampliarono. Io e Sandro diventammo metallari a tutti gli effetti, e per un paio d'anni suonammo in un gruppo metal senza però mai fare concerti, solo sala prove, ma era comunque bello e appagante, soprattutto quando dalle altre sale entravano altri musicisti a farci i complimenti. Nello stesso anno uscì un altro album dei ROCKETS, One way. Fu pubblicato quasi in sordina e ovviamente lo comprai. La copertina sembrava un quadro astratto e non c'erano foto. Anche il nome era cambiato, da ROCKETS era diventato ROKETZ e a completamento della fase di cambiamento, a livello musicale, ormai con i vecchi ROCKETS questo disco non c'entrava più niente. In più anche il bassista Little Gerard L'Her aveva lasciato il gruppo. Nel 1992 uscì un altro album, Another future sempre in linea con One way e nel 2003 arrivò Don't stop che già dalla copertina, che richiamava in maniera evidente quella di On the road again, si capiva che il gruppo ormai formato solo da F. Quagliotti e altri nuovi musicisti aveva fatto un 'passetto' indietro, mescolando brani di chiara matrice ROCKETS a cose più moderne e qualche cover di brani passati del gruppo.

Questa che ho scritto può sembrare una storia un po' banale, forse di poco interesse, ma è la storia genuina di una amicizia che, nonostante gli alti e bassi che la vita ci impone, è ancora viva. Di sicuro ha contribuito la passione che avevamo per i ROCKETS, che ci ha uniti in un interesse comune, la musica, ma soprattutto la 'loro' musica, particolare, scenografica e originale creata da questi 5 fantastici ragazzi francesi . . . venuti da un altro pianeta!

I protagonisti di questa storia:
Io, Stefano 'Zaf', Alberto 'Beppe', Fabio 'Bazmen', Flavio 'Malaggino', Giuliano 'Giuli', Marco 'Cutolo', Massimiliano 'Cugino', Sandro 'Bull', Sergio 'Mez' e ovviamente i ROCKETS!!!

Gallerie concerti
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Galleria foto a Castelletto D'Orba 1982 - Photo by Stefano Fasano - © LesROCKETS.com

Galleria foto a Castelletto D'Orba 1982 - Photo by Stefano Fasano
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Galleria foto Genova 1984 - Photo by Stefano Fasano - © LesROCKETS.com

Galleria foto Genova 1984 - Photo by Stefano Fasano
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Galleria foto Genova 1982 - Photo by Stefano Fasano
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